Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale: estintori aumentati

Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha da pochi giorni designato il prossimo presidente della Biennale di Venezia: il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco che sostituirà Roberto Cicutto alla scadenza naturale del mandato quadriennale (il 2 marzo 2024) alla guida della storica e internazionale istituzione culturale. La proposta di nomina di Buttafuoco prevede il parere consultivo delle commissioni Cultura di Camera e Senato, che poi informeranno il decreto di nomina ministeriale. Catanese, 60 anni compiuti lo scorso 2 settembre, laureato in filosofia, primo lavoro da libraio, Buttafuoco ha cominciato la sua carriera giornalistica al “Secolo d’Italia”, il quotidiano prima del Movimento sociale, poi di An (partiti di cui è stato membro). Intellettuale dichiaratamente di destra ma con spirito critico, è amico di Giorgia Meloni: “È la ex babysitter che ce l’ha fatta, alla faccia di tutte le signorine della Roma bene – disse all’indomani della vittoria elettorale del centrodestra alle politiche del 2022 -. Giorgia trionfa non perché di destra o perché è capo di una comunità politica, ma perché è diventata terminale di un’aspettativa collettiva”.
Nella sua carriera professionale, Buttafuoco è stato inviato “Panorama”, uno dei primi commentatori “Il Foglio”, collaboratore di “Repubblica”, del “Sole 24 Ore” e di recente al “Fatto quotidiano” di Marco Travaglio. È autore di sette romanzi ed è stato finalista al premio Campiello nel 2006 con “Le uova del Drago”. Nel suo curriculum è riportato anche il ruolo di presidente del Teatro Stabile di Catania (dal 2007 al 2010) e quello del Teatro Stabile d’Abruzzo (ancora in carica). Il suo ultimo libro è “Beato lui – Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi” (Longanesi). “L’esistenza di Berlusconi – ha osservato Buttafuoco che aveva il suo ufficio a Palazzo Grazioli, la storica residenza del Cavaliere – ha attraversato tanti mondi, tanto da trasformarsi da persona a personaggio. La sua storia non conosce la parola fine”.
Buttafuoco, con la sua innata ironia che non sai se spontanea o calcolata, si è convertito all’Islam sciita con il nome Giafar al-Siqilli. “Se solo l’Europa, il Mediterraneo e l’Italia conoscessero a fondo la loro storia non potrebbero che amare l’Islam. E se la civiltà islamica conoscesse a fondo se stessa non potrebbe che essere cosciente di un amore che comincia da lontano” – disse nel 2017 – partecipando alla Fiera Internazionale del Libro di Teheran. Da quella memorabile confessione non si sa se ha maturato una nuova fede dopo il 7 ottobre scorso.
Otto anni fa, nel 2015, fu candidato alle regionali in Sicilia ma nella destra non tutti accettarono la sua nuova scelta religiosa, più per ignoranza che per motivate ragioni politiche. D’altronde essere siciliani significa avere anche nel proprio sangue una parte di quello arabo. Importante che non semini odio per vendetta. Se il ministro Sangiuliano lo preferisce al signor Ciccuto avrà le sue buone ragioni, una delle quali di appartenenza alla destra storica e forse di spessore culturale.

Verona e il Veneto saranno sede del primo Museo internazionale del vino in Italia per valorizzare il nostro territorio, le nostre eccellenze enogastronomiche e la nostra cultura: presentato il Progetto di legge, di iniziativa del consigliere Corsi (Lega-LV), che l’Assemblea legislativa ha votato oggi all’unanimità

Venezia 6 giu. 2023 –     Nel corso di una conferenza stampa, oggi, a palazzo Ferro Fini, il consigliere regionale Enrico Corsi (Lega- LV), alla presenza dell’Assessore regionale al Bilancio, Francesco Calzavara, e del presidente della Terza commissione, Marco Andreoli (Lega- LV), ha presentato il Progetto di legge n. 182, di cui è primo firmatario, “Modifica della L.R. 7 settembre 2000, n. 17, ‘Istituzione delle strade del vino e di altri prodotti tipici del Veneto e iniziative per la promozione della cultura materiale della vite e del vino e per la valorizzazione della tradizione enologica veneta’ e successive modifiche e integrazioni”.

La proposta normativa, già licenziata all’unanimità dalla Terza commissione, introduce, dopo l’articolo 6- ter della L.R. n. 17/2000, l’articolo6 – quater ‘Concorso regionale alle iniziative assunte dalla Fondazione Museo del Vino (MUVIN) in Verona’, che autorizza la Giunta regionale a concorrere alle iniziative assunte dalla Fondazione per realizzare il Museo Internazionale del Vino, finalizzato alla promozione della cultura materiale della vite e del vino e alla valorizzazione della tradizione enologica e delle peculiarità culturali e turistiche del territorio. Questo, in considerazione del fatto che la produzione vitivinicola rappresenta nella nostra Regione uno degli aspetti caratterizzanti, non solo per le importanti ricadute economiche sul territorio, ma anche come segno di identità culturale e rispetto delle nostre tradizioni.

DA KALININGRAD A KROLEWIEC (EX KONIGSBERG)

Tra Mosca e Varsavia una controversia che dura da anni è l’exclave di Kaliningrad, che i polacchi d’ora in poi chiameranno con l’antica denominazione in lingua madre di Krolewiec. Tra le proteste del Cremlino, che ha parlato di una «decisione al limite della follia» e l’ha definita «un atto ostile». Solite reazioni di chi vorrebbe passare sempre da vittima, ci scrive A.M. da Ginevra. La proposta. L’iniziativa è partita dalla commissione polacca per i toponimi, che ha suggerito alle autorità di non utilizzare più il «nome imposto» di Kaliningrad all’area geograficamente appartenente alla Polonia, al confine con la Lituania, ma passata sotto il controllo dell’Unione Sovietica, dopo la Seconda guerra mondiale. La proposta è stata recepita dalle autorità regionali e dal governo di Varsavia e la denominazione Kaliningrad scomparirà dalle mappe e dai documenti ufficiali.
Il nuovo toponimo. Al suo posto tornerà Krolewiec, la traduzione polacca di Konigsberg, il nome tedesco di epoca prussiana. La città fu ribattezzata Kaliningrad dai sovietici in onore Mikhail Kalinin, uno dei leader della rivoluzione bolscevica: una ferita profonda per Varsavia, che lo considera «corresponsabile» del massacro di ufficiali polacchi ordinato da Stalin a Katyn nel 1940, come ha ricordato il ministro Waldemar Buda.
“Rimettiamo la palla al centro”, almeno questa guerra in corso ha prodotto un nuovo schieramento anti-Russia sotto l’ombrello Nato che di fatto la comprime e la revisione di accordi imposti dopo la seconda guerra mondiale, alcuni dei quali sproporzionati. Il bolscevismo non è stato minore a nessun altro regime totalitario e criminale. E qui la Storia ha ampie ragioni per contestare l’usurpazione e la demagogia dello zar Putin e del suo “cuoco” Prigozhin.
Contro la russificazione della Polonia. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Polonia prende spunto per dimostrare che è ora di smetterla di comandare in casa degli altri. L’Unione Sovietica è stata sciolta dal ormai da trent’anni, le cosiddette Repubbliche democratiche socialiste non esistono più, ora la Federazione Russa con i suoi giacimenti siberiani e caucasici si è arricchita, facendo sorgere come funghi una pletora di oligarchi divenuti tali tramite sotterfugi, conoscenze e – crediamo – l’illegalità. La Russia firma i trattati internazionali ma non li rispetta con le “dichiarazioni di riserva” agli stessi. Il diritto umanitario e dei diritti dell’uomo per il governo federale russo non esistono, o meglio se ne fa un baffo. L’Europa “occidentale” dovrebbe accettare tutto questo? L’esercito regolare (circa 150mila uomini) e quello mercenario (circa 60mila uomini) continua a violare il diritto della guerra (“umanitario”), La Corte internazionale penale dell’Aja ha emesso mandato di cattura contro il presidente PUTIN Vladimir per crimini internazionali (deportazione minorenni ecc.), assieme ad altri corresponsabili. Se tutto questo non basta perché la Polonia dovrebbe starsene zitta?
Così il Cremlino reagisce tramite le sue agenzie di stampa ufficiali: “la Polonia nel corso dei secoli è scivolata in una forma di follia guidata dal suo odio per i russi che non ha prodotto nulla di buono per loro», ha avvertito Dmitry Peskov. Kaliningrad per i russi è una regione importante dal punto di vista strategico perché ospita la flotta baltica nel porto di Baltiysk. E chi la tocca, anche solo cambiandole nome, è da considerare un nemico.
Una grande potenza militare e terrestre ha bisogno di crearsi l’alibi della vittimizzazione? Dopo tutto quello che stiamo assistendo con la distruzione totale di città, paesi, quartieri con dieci milioni di sfollati? Dov’è il senso della convivenza pacifica tra russi ed europei, italiani compresi? Il presidente Putin è originario di San Pietroburgo, la mamma faceva la serva del condominio popolare con cessi e cucine al piano dei casermoni, il padre era reduce marinaio in pensione. Lui studiò legge e voleva far politica in città. Gli andò bene perchè dopo tre tentativi entrò nel KGB, dove con velocità estrema imparò la musica e si infilò sui piani alti che al tempo stavano progettando un colpo di stato….Paranoico o semplicemente assetato di potere? Lo dirà la Storia.

UNA PALA E UN PITTORE RITROVATI. PAOLO PIAZZA A CASTELFRANCO VENETO E IN EUROPA  TEATRO ACCADEMICO 17 APRILE 2023 ORE 17.30

L’opera: “L’INCORONAZIONE DELLA VERGINE”
Autori del saggio: Paolo Asolan, Paolo Spolaore e Giorgio Tagliaferro. Introduzione del mns. Adriano Cevolotto, vescovo di Piacenza. Interventi di Eugenio Manzato, Stefano Chioatto, Mateo Melchiorre  

Il 30 maggio di quattro anni fa, ci fu un convegno scientifico che celebrava la collocazione della pala del Piazza nella controfacciata della chiesa, che si trovava altrove. L’opera porta il titolo “incoronazione della Vergine Maria”, dogma piuttosto contestato da altre religioni. L’artista fu molto attivo che lo portò a girare l’Europa ma come al solito, nella sua “patria” d’origine, fu dimenticato…. dagli stessi frequentatori della chiesa, abituati solo a pregare le immagini-icone senza porsi nessuna altra questione. Come se il simulacro forse così importante di intercedere le giustizie o i favori divini, Ma questo è un altro aspetto. Secondo noi, i quadri che superano più di un secolo andrebbero tolti da sacrestie, capitelli e altari per essere ricollocati in un museo storico, però con utili spiegazioni e confronti. Non è cultura lasciare queste opere nelle chiese con una targhetta accanto, a volte anche errata.   

                “La collocazione all’interno della chiesa di San Giacomo della grandiosa pala di Piazza, alias fra’ Cosmo da Castelfranco, dal titolo “Incoronazione della Vergine” ha rappresentato un intervento significativo (realizzato nel 2019, successivamente alle celebrazioni dell’ottavo centenario dell’ospitale e chiesa di San Giacomo nel 2017, ndr) – scrive introducendo il volume mons. Adriano Cevolotto all’epoca vicario generale della nostra diocesi, oggi vescovo di Piacenza -: il progetto intendeva offrire alla comunità la possibilità di godere delle opere d’arte che appartengono alla sua storia civile e cristiana, per favorire anche il recupero della memoria civica cittadina”.
“Chiesa, ospitale (ospedale ndr.) di San Giacomo e annesso convento dei Serviti restano oggi isolati testimoni di un passato in cui fede, arte e carità si sono alimentate e integrate a vicenda – aggiunge Stefano Marcon, sindaco di Castelfranco – in un’ampia rete di luoghi di culto e di assistenza, dal convento di sant’Antonio abate dei francescani minori conventuali, in Borgo Pieve, a quello di San Francesco dei francescani riformati, in Borgo Treviso, del Redentore delle “Clarisse” in via Cazzaro (trasformato in unità immobiliari, ndr.), della Beata Vergine dei Cappuccini nell’area dell’attuale casa di riposo”.
Per il parroco Paolo Marconato: “L’incoronazione della Vergine sposta l’attenzione da questo nostro tempo e da questa nostra terra alla quale siamo giustamente aggrappati, alla meta verso la quale siamo tutti incamminati”. Cioè? Gli chiediamo. Nessuna risposta perché la guerra continuerà tra Russi e Ucrainie delle nostre preghiere il criminale Putin se ne frega altamente così pure il suo “sacrestano” Cirill, patriaca della chiesa ortodossa russa. Chiesa e Zar, tutt’uno.
L’enorme Pala del Piazza è della seconda metà del Cinquecento, forse cinque volte più grande della Pala di Giorgione del 1501 (Janye Anderson), ndr., ma non ha lo stesso prestigio, tant’è che finì a decorare una parete di una sala conferenze dell’Ospedale regionale che non era certo il suo luogo ideale, come “i cavoli a merenda”. Tutti sembravano contenti di poter avere un’opera d’arte rinascimentale, della Controriforma in un Ospedale con tredici pian, una pista per elicotteri ed un parcheggio di 1200 auto. Il tempo però fu galantuomo: avvenne che simili opere di cultura romanocentrica vaticanense e di Sante Crociate avrebbero potuto offendere taluni nuovi arrivati con o senza i barconi che non ci credono proprio né al crocifisso e né alla Vergine Maria.
Così, si decise di darla alla chiesa da dove forse “nacque”, ma non siamo sicuri perché in questa bellissima chiesetta Seicentesca che, un giorno, farà parte del nuovo Conservatorio potrebbe essere traslocata al nuovo Museo, dell’ex banca popolare di Vivenza, fallita. E’ collocata sulla parete interna sopra la porta dell’uscita, cioè dietro alle spalle dei fedelissimi cattolici, poco illuminata. “La riscoperta di questo artista è notevole – precisa nelle sue note Paolo Spolaore, tra gli autori del libro – fra Paolo Cosma fu un ottimo pittore che operava sia nei conventi del suo Ordine di vari stati ed aveva una reputazione superiore al più noto Damini”, come ormai i più accreditati storici ripetono la stessa cosa.

Modernismo tropicale

Architettura e Potere in Africa occidentale
PADIGLIONE DELLE ARTI APPLICATE PROGETTO SPECIALE
Sale d’Armi A, Arsenale
20 maggio – 26 novembre 2023

Venezia-Padova, 02.04.2023 (Credit Biennale; foto di Claudio Malvestio). Per la 18.Biennale Architettura (20.05-26.11) è prevista una mostra dal titolo Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale, curata da Christopher Tur- ner (V&A) e da Nana Biamah-Ofosu e Bushra Moha- med (AA), realizzata in collaborazione con l’Archi-tectural Association (AA) di Londra e la Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST) di Kumasii.
Christopher Turner, curatore d’arte, architettura, fotografia e design presso il V&A, e lead curator di Modernismo tropicale: Architettura e Potere in Africa occidentale, ha dichiarato: “Attraverso uno studio approfondito del lavoro del Dipartimento di Studi Tropicali e della sua collaborazione con KNUST, la presentazione del V&A a Venezia esplora i modi in cui il Modernismo tropicale è stato adattato dagli architetti ghanesi per promuovere gli ideali panafricani di Nkrumah durante un momento di transizione in cui nuove libertà furono conquistate e una rottura con il passato coloniale fu attuata attraverso l’architettura. Questa mostra considera il potere dell’architettura, sia come mezzo di soppressione coloniale sia come simbolo della libertà politica nascente, oltre a esplorare l’eredità specifica del Modernismo tropicale nell’Africa occidentale.”
Attraverso l’analisi del lavoro del Dipartimento di Architettura Tropicale e di vari casi studio, la mostra presenta un’installazione cinematografica multicanale al fine di riflettere criticamente sulla storia imperiale del Modernismo tropicale, un distintivo stile architettonico inizialmente sviluppato e impiegato come strumento per sostenere il dominio coloniale, e in seguito adattato dagli architetti dell’Africa occidentale per promuovere l’entusiasmo e le rinnovate possibilità all’indomani dell’indipendenza del Ghana – il primo paese dell’Africa sub-sahariana ad affrancarsi dal dominio coloniale nel 1957.

IL DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA TROPICALE            

                Nell’Africa occidentale britannica, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, il duo di architetti composto dai coniugi Maxwell Fry e Jane Drew inventò il Modernismo tropicale, adattando un’estetica modernista europea alle condizioni difficili, calde e umide del continente. Il loro distintivo linguaggio riguardante il controllo delle condizioni climatiche – feritoie regolabili, ampie gronde e frangisole caratterizzati da un rapporto meramente superficiale con il territorio – fu propagato attraverso il Dipartimento di Architettura Tropicale, da loro fondato nel 1954 presso l’AA di Londra; in questa istituzione i due coniugi insegnarono agli architetti europei come lavorare nelle colonie e formarono una nuova generazione di architetti postcoloniali.

I VENTI DI CAMBIAMENTO
               Le innovazioni architettoniche di Fry e Drew, che attirarono l’interesse internazionale, apparvero sullo sfondo politico della lotta anticoloniale, che presto avrebbe dato i suoi frutti. La coppia di coniugi ottenne numerose e importanti commissioni, tra cui la progettazione di scuole, università, centri comunitari e biblioteche per gli africani, pagati dal Colonial Welfare and Development Act – un programma postbellico da 200 milioni di sterline finalizzato a riformare, ricostruire e modernizzare le colonie: un’iniziativa cinica ideata per compensare le richieste di indipendenza e per rendere le colonie più produttive all’interno del mercato globale e le migliori acquirenti di merci europee.  
               
Questo investimento non poté frenare, tuttavia, i “venti di cambiamento” che soffiavano sull’Africa e nel decennio successivo all’elezione di Kwame Nkrumah a Primo Ministro e Presidente del Ghana nel 1957, due terzi del continente conquistarono la libertà. Nel Modernismo tropicale, Nkumrah vide una possibilità non solo per la costruzione della nazione, ma anche un’espressione della sua ideologia panafricana, che realizzò invitando architetti dell’Europa orientale – non contaminati dal colonialismo – a lavorare al fianco di architetti ghanesi per creare strutture monumentali che furono recepite come nuovi simboli per un’Africa libera. Nel 1963, il Dipartimento di Studi Tropicali fu invitato a istituire una succursale presso la Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST) di Kumasi, dove già insegnava una prima generazione di qualificati architetti africani, tra cui Max Bond e John Owuso-Addo. Sebbene Maxwell Fry avesse affermato che non si poteva imparare nulla dall’architettura tradizionale africana, la scuola di KNUST – una sorta di Bauhaus africano – mise in discussione i presupposti coloniali del Modernismo tropicale e ispirò una nuova architettura che apprezzava le forme locali e che provava a creare un originale stile nazionale o africano.

*V&A, Victoria and Albert Museum di Londra (anno di fondazione 1852) www.vam.ac.uk o contattare Callum Walker, Senior Communications Manager (c.walker@vam.ac.uk); CONTATTI Ufficio Stampa e Relazioni con i Media Arti Visive e Architettura – La Biennale di Venezia – Tel. 041 5218 846 / 849 pressoffice@labiennale.org

CARPACCIO E GIORGIONE: affinità (Molmenti, 1885) e contrasto (Boaretto, 2023)

Diamo inizio a questa nuova forma, per modo di dire, di incastrare come tessere nel mosaico di un articolo o pezzo su tutt’altro genere e storia, una cernita di foto scattate da ALCIDE BOARETTO DI PADOVA. Esperto di cinema e moda, passerelle e photo call, nonché di particolari servizi per Aidanews.
Il mondo dell’arte che si può incontrare solo a Venezia, unica città al mondo che abbia speso energie così vaste e costanti, può essere un altare di una chiesa come una mostra da poco inaugurata. CI siamo detti più volte perchè unire le due cose nello stesso pezzo? L’arte astratta è solo quella che si vede alla Punta della Dogana che Monsieur Bruno Racine assieme a Emma Lavigne hanno allestito o potrebbe anche essere quella al Palazzo Ducale, nelle stanze del Doge, dove oggi c’è una monografica su Vettor Scarpazza / Carpaccio? Le immagini di Alcide sono emblematiche e fredde, astratte perchè non solo facili da definire il senso dell’oggetto appeso sulle grandi pareti di punta della Dogana. Monsieur François Pinault ha fatto centro.
Abbiamo ripreso alcuni passaggi da un libro del 1885, scritto da Pompeo Gherardo Molmenti che lo dedicò a “Carpaccio e Tiepolo”, mentre noi abbiamo preferito di soffermarci su affinità riscontrate tra “Giorgione e Carpaccio” …. e alcune “icone”, così le chiamano, scelte per la mostra veneziana. Le foto di Alcide sono acquistabili in formato extra large 1,20x2m. su supporto di rame o platino leggerissmo. Buona lettura
“Fra le gioie possenti dell’arte veneziana hanno dolci attrattive questi pittori della fine del quattrocento, ai quali nella loro grandezza mansueta dovè sembrare un libertinaggio pittorico la nuova maniera di Giorgione e di Tiziano. E dovea suonare come un mesto presagio le parole che uscirono dall’anima austera di Alberto Durero , quando , nel febbraio del 1507 , ritornò una seconda volta a Venezia. << Le cose che mi erano così piaciute, or sono quindici anni, non mi piaciono più ” esclamava il Durero , riferendosi alla nuova arte, già superba di sensuale rigoglio (Trausing, DURER, Leipzig, 1876 ) . Ancora pochi anni ed il lusso sfarzoso scaccerà la pura eleganza, e la gran luce di Tiziano farà impallidire la luce mite dell’arte del Carpaccio, che forse salutò di un saluto melanconico, ma scevro da invidia, la nuova scuola, che vedeva crescere ed avanzarlo di lode, per la pomposa ricchezza dei concetti e dello stile.

Che sappiamo di Luigi, di Giovanni, di Antonio, di Bartolomeo Vivarini ? Uguali tenebre coprono
la vita dei Bellini. Poco o nulla conosciamo del Carpaccio. Poco dello stesso Giorgione, il cui
ricordo, giunto a noi tra le melanconie vaporose della tradizione, è profanato dalle parole del
Vasari, che afferma il grande pittore morto non d’amore tradito, ma di lue venerea. Solo col Tiziano li artefici incominciano a svelarci la loro vita allegra, non più trattenuti da quel pudore, che rende attraenti le opere dei quattrocentisti, da quel decoroso riserbo, che ne avvolge di misteriosa poesia la vita, pur circondata al di fuori come da una pompa orientale, che li fa pensare e operare cose alte e leggiadre, nella città onoranda in leggi e in armi, ricca d’uomini e d’oro. E nella loro grandezza regale sono tuttavia da notare la robusta austerità, informante l’ingegno e la semplicità ammiranda, di dare quasi un atteggiamento di famiglia alle loro confraternite. Fermiamoci un poco ad ammirare cotesti sodalizi , che potranno mostrarci alcuni minimi e riposti particolari su la vita intima dei pittori del secolo XV.

Nè Lazzaro, nè Sebastiano Carpaccio sono mai esistiti, ma ben fiorì circa il 1470 ser Lazzaro de Bastian depentor, com’egli stesso scriveva il suo nome (Nella Matricola della Scuola di San Girolamo. Il LAZARI (Not. delle op. della Racc. Correr) ha provato pel primo come questo artefice non si chiamasse, come tutti credevano, Lazzaro Sebastiani, ma Lazzaro di Sebastiano). Il Carpaccio visse in fraterna dimestichezza con questo Lazzaro, al quale apprese i segreti dell’arte, e col quale forse dipinse intorno all’ancona in san Giovanni e Paolo, da Francesco Sansovino creduta di Giovanni Bellini. L’ancona è in nove spartimenti, rappresentanti Cristo morto, la Vergine e l’Angelo annunziatore, i santi Vincenzo, Sebastiano, Cristoforo e le azioni di san Vincenzo. Il Cavalcaselle e il Crowe vedono giustamente in tale opera la mano di diversi artefici, fra i quali quella del Carpaccio e di Lazzaro. Ancora troviamo insieme i due amici pittori, nell’11 dicembre 1508 chiamati a stimare le pitture a fresco di Giorgione su la facciata del Fondaco dei Tedeschi (1508. 11 Decbr. Ser Lazaro Bastian, ser Vettor Scarpaza et ser Vettor de Mathio per nominati da ser Zuan Bellin depentor, ” constituidi alla presentia dei Magnifici Signori mess. Caroso da « chà da Pexaro, mess. Zuan Zentani , mess. Maria Gritti et « mess. Aluise Sanudo, proveditori al Sal , come deputati electi dipintori a vedere quello puol valer la pictura facta sopra la ❝ faza davanti del fondago de’ Todeschi, et facta per maistro « Zorzi da Castel francho ; et durati d’achordo dixero a giuditio « et parer suo meritar el ditto maestro per dicta pictura ducati ” cento et cinquanta in tutto. ” Die dicta « Col consenso del prefato maistro Zorzi gli furono dati ducati 130 ” . GAYE Cart. ined. d’artisti, 11, 137. Firenze, 1840.).

Una delle ultime opere del Carpaccio è Il martirio di diecimila martiri crocifissi sul monte Ararat nell’ Armenia (Acc. , sala XV -N. 559. Alt. m. 3. Larg. 2,08), dipinto nel 1515 per la famiglia Otoboni (Il quadro del Carpaccio fu ordinato dall’Ottoboni per un voto, fatto in una pestilenza l’anno 1515. In uno dei lati era scritto : D. O. M. martyrumque decem millibus Hector Octo bonus patronis Templi Antistes vovit in pestilentia , ecc. » ) molita chiesa di sant’Antonio di Castello . V’è gran copia di figure, alberi, animali e cento altre cose, eseguite tutte con istraordinaria diligenza e fatica, come osservò il Vasari, per cui viene tenuta e lodata come grande pittura. Or bene, lo Zanetti si meraviglia e gli pare cosa singolare, e a pena degna di fede, che questa tavola, a dir vero un po’ troppo minuziosa, fosse dipinta da un dotto pittore
dei tempi giorgioneschi, anzi dopo la morte di Giorgione, e sul primo fiorir del Tiziano ,
cioè nel 1515 ; e che dei nuovi vivacissimi modi un lampo solo non ci si vegga. Questo
di far prova di sentire da sè , di non seguire l’andazzo, di pensare con la propria testa è una
delle caratteristiche degli artefici sommi. Così non si capirebbe come alcune meravigliose e
libere opere, che nulla hanno da invidiare a Giambellino, portino la data del 1491 , e ventiquattro anni più tardi in modo secco e pesante sia dipinto : l’Incontro di Sant’Anna con san Gioachino e ai lati san Lodovico e sant’ Orsola ( Segnato VICTOR CARPATIUS VENETUS OP. MDXV ― Acc. DI B. A., sala XV, nº 552. (A. 1,83; L. 1,66). Esisteva nella chiesa di san Francesco di Treviso), se non si pensasse alla coscienza dell’artefice, che, anche negli ultimi anni, per paura di divenire negletto, riusciva minuzioso . Certo è che in alcuni quadri il Carpaccio tocca un’altezza alla quale pochi arrivarono : l’aria circola liberamente e se anche qualche rara volta egli si mostrò imperito della prospettiva aerea, nella lineare ebbe pratica e diligenza somma. Il colore è quasi sempre armonioso e il chiaroscuro sapiente fa tondeggiare le figure, le quali non
pure hanno nel volto una espressione di sublime verità, ma si muovono, non impacciate
nelle vesti mirabilmente piegate.

V’è
gran copia di figure, alberi, animali e cento altre cose, eseguite tutte con istraordinaria diligenza e fatica, come osservò il Vasari, per cui viene tenuta e lodata come grande pittura. Or bene, lo Zanetti si meraviglia e gli pare cosa singolare, e a pena degna di fede, che questa tavola, a dir vero un po’ troppo minuziosa, fosse dipinta da un dotto pittore dei tempi giorgioneschi, anzi dopo la morte di Giorgione, e sul primo fiorir del Tiziano , cioè nel 1515 ; e che dei nuovi vivacissimi modi un lampo solo non ci si vegga. Questo di far prova di sentire da sè , di non seguire l’andazzo, di pensare con la propria testa è una delle caratteristiche degli artefici sommi. Così non si capirebbe come alcune meravigliose e libere opere, che nulla hanno da invidiare a Giambellino, portino la data del 1491 , e ventiquattro anni più tardi in modo secco e pesante sia dipinto : l’Incontro di Sant’Anna con san Gioachino e ai lati san Lodovico e sant’ Orsola ( Segnato VICTOR CARPATIUS VENETUS OP. MDXV ― Acc. DI B. A., sala XV, nº 552. (A. 1,83; L. 1,66). Esisteva nella chiesa di san Francesco di Treviso.), se non si pensasse alla coscienza dell’artefice, che, anche negli ultimi anni, per paura di di venire negletto, riusciva minuzioso . Certo è che in alcuni quadri il Carpaccio tocca un’altezza alla quale pochi arrivarono : l’aria circola liberamente e se anche qualche rara volta egli si mostrò imperito della prospettiva aerea, nella lineare ebbe pratica e diligenza somma. Il colore è quasi sempre armonioso e il chiaroscuro sapiente fa tondeggiare le figure, le quali non pure hanno nel volto una espressione di sublime verità, ma si muovono, non impacciate nelle vesti mirabilmente piegate.

No all’istigazione contro lupi e orsi sì alla prevenzione. Ma con quali misure?

Ambiente – Zanoni (PD): “Zaia faccia ritirare la legge sulla caccia a lupi e orsi: è inutile e illegittima. Basta istigare gli allevatori, si passi a una seria prevenzione”. Vaghe le misure di prevenzione suggerite dal dem.

“La decisione del Governo di bocciare le leggi delle Province autonome di Trento e Bolzano che autorizzavano la cattura e l’uccisione dei lupi e degli orsi era dovuta e scontata. Mi auguro che il precedente sia da monito”. Questo il giudizio espresso dal Consigliere regionale del Partito Democratico Andrea Zanoni, presidente a Palazzo Ferro Fini dell’Intergruppo per il benessere e la conservazione degli animali e della natura. “L’impugnazione di leggi regionali che violano norme statali, fatte solo per compiacere le lobby dei cacciatori, era inevitabile e in Veneto ne sappiamo qualcosa. Adesso nella Conferenza Stato e Regioni si approvi un piano per la gestione del lupo che risponda pienamente all’esigenza di proteggere questi animali, tutelando nel contempo con metodi intelligenti l’economia montana. Basterebbe dotare i malgari di cani addestrati per risolvere finalmente il problema delle predazioni così come testimoniato direttamente da più un allevatore”, ribadisce il consigliere del PD che aggiunge: “Nessuno pensi di abbattere lupi e orsi impunemente. I consiglieri di maggioranza, come Ciambetti, Finco e Berlato (in tutto 14 su 50), che hanno proposto anche in Veneto questa legge obbrobriosa, se ne facciano una ragione. Farebbero meglio a ritirarla per evitare brutte figure e  non far perdere ore di lavoro alle Commissioni e al Consiglio regionale. Il provvedimento farebbe la stessa fine di quelli di Trento e Bolzano, è scontato”.
Infine il Consigliere democratico plaude all’azione del ministro dell’Ambiente Costa: “Ha fatto il suo dovere ricordando a tutti che gli animali selvatici sono un patrimonio nazionale e che la gestione di specie minacciate e tutelate a livello comunitario non può dipendere da interessi di pochi e di qualche lobby”.

Perìpatos Sulla rotta degli eroi: dal Mediterraneo a Padova (ultimi incontri)

Ultimi due appuntamenti

Chiostro Albini, ore 17:30
Musei Civici agli Eremitani
piazza Eremitani 8, Padova

Il ciclo di incontri sulla storia antica della città sarà quest’anno focalizzato sul ruolo di Padova nel grande scenario del Mediterraneo. Come è giunta la leggenda di Antenore dai lontani lidi troiani, in Asia Minore, ai recessi dell’alto Adriatico? Chi l’ha portata? E per quali ragioni in alto Adriatico si ritrovano le tracce di un altro eroe leggendario, Diomede, che, come Antenore aveva preso parte alla guerra di Troia e aveva poi finito per fondare niente meno che la città di Adria? A ben guardare, la storia più antica di Patavium nasconde molti indizi che rinviano a contatti mediterranei instaurati in tempi assai antichi. Su questi aspetti dialogheranno Lorenzo Braccesi, storico dell’antichità, e Francesca Veronese, archeologa dei Musei Civici, scandagliando le fonti letterarie e cercando risposte nella cultura materiale.
A completamento di ogni incontro, come è ormai tradizione, è prevista una visita guidata nelle sale del Museo Archeologico, alla scoperta di quei reperti che riconducono alle tematiche trattate.

Giovedì 13 settembre
Diomede, tra Adria e il Caput Adriae
Giovedì 20 settembre
Il “giallo” della tomba di Antenore
Informazioni:
Ingresso libero
Segreteria Museo Archeologico

Guerra d’alta quota: Le Dolomiti inaccessibili a Palazzo Angeli Padova

DOLOMITI INACCESSIBILI

La Grande Guerra nei fronti alti

Giovedì 20 settembre 2018, ore 17:30
Palazzo Angeli, Stanze della Fotografia
Prato della Valle 1/a, Padova
A cura di
Alessandra Bello e Gianluca Specia
Il Sindaco
Sergio Giordani
L’Assessore alla Cultura

Andrea Colasio

La mostra sarà aperta fino 28 ottobre 2018
Orario: 10-18, chiuso il martedì; ingresso libero.
Settore Cultura, Turismo, Musei e Biblioteche
donolatol@comune.padova.it – tel. 049 8204522